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IL CROCIFISSO TRA 
DUE ASSASSINI:
L’IMMENSITÀ DELL’AMORE
Tutti gli evangelisti affermano che Gesù è stato crocifisso assieme a due 
ladroni, uno alla destra e uno alla sinistra. Colui che mangiava con i peccatori 
e i pubblicani, eccolo ancora mescolato alla peggiore gentaglia nel momento del 
supplizio. Unicamente Luca evidenzia la figura dei due, nel loro diverso modo di 
comportarsi (Lc 23,39-43).
L’Amore vilipeso e bestemmiato
Il brano, al v.39, presenta anzitutto uno dei ladroni: “Uno dei malfattori 
appesi lo bestemmiava dicendo: ‘Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi”.
Costui, dice il testo, “lo bestemmiava”, cioè insultava e scherniva Gesù, 
assumendo un atteggiamento che si riscontra generalmente negli oppositori di 
Cristo. Si mette quindi dalla parte dei nemici, sostenendo la loro stessa 
opinione e proclamando le loro accuse.
Prosegue con veemenza: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso”. Le medesime cose 
dicono i capi del popolo al presunto Messia appeso alla croce; simile sfida è 
sostenuta dai soldati, che vogliono burlarsi del condannato a morte; il 
malfattore segue quell’identico andazzo. Tutte queste persone, unite all’unisono 
come un coro, esprimono l’incapacità di capire il Cristo, il re dei Giudei, 
avvolto nella debolezza e sopraffatto dalla sconfitta. Essi congetturano che il 
Messia regale debba essere vittorioso e potente, superiore a ogni avversario; 
non ammettono che possa ridursi a una fine così miserevole. Per questa ragione 
esigono che manifesti quello che veramente è, esibisca la sua potenza. 
Il ladrone insiste ancora: “Salva te stesso”. Con queste parole fa emergere 
quella mentalità assai diffusa, imbevuta di opportunismo, secondo la quale la 
vita è impostata egoisticamente con l’intento di tutelare solo il proprio 
tornaconto. Da qui la difficoltà a intendere come il Messia non si preoccupi di 
salvarsi, lui che ha salvato gli altri; lo si giudica e misura con lo schema 
ristretto di una visione legata ai soli interessi personali. Resta arduo, se non 
impossibile, comprendere l’amore oblativo e disinteressato di Gesù. Sembra un 
mondo totalmente diverso dall’umano comune sentire. 
“Salva anche noi”, soggiunge, come per dire: facci scendere dalla croce, finisca 
questo supplizio e questa sofferenza, termini la situazione dolorosa in cui ci 
troviamo e riprenda per noi la vita felice sulla terra. È l’unica cosa che esige 
quel ladrone ed è la sola cosa che ogni uomo sollecita quando si presenta da 
Gesù. Si tratta di una richiesta di salvezza a buon mercato, immediatamente 
legata ai vantaggi terreni, chiusa nell’orizzonte dell’egoismo umano, senza 
aprirsi a nuove prospettive di cui il Messia crocifisso, accanto a lui, era il 
testimone e il rivelatore. È una ricerca di liberazione talmente falsa che 
rischia di escluderlo dalla salvezza vera, quella precisamente portata da Cristo 
e che l’altro suo compagno accoglierà.
L’Amore difeso e rivelato
Subito dopo l’ingiuria del primo malfattore, Luca introduce il secondo, che 
prende la parola in mezzo a un coro di insulti e di scherni. Il suo discorso è 
veramente impressionante: stupisce sempre più man mano che si esprime. Di parola 
in parola, di frase in frase fa emergere la grandezza d’animo, la profonda fede. 
Neanche i discepoli erano giunti a tanta altezza spirituale, eppure costui ha 
trascorso la vita facendo del male. 
Incurante della propria sofferenza, si preoccupa di portare al ravvedimento il 
collega disperato. Per questo lo rimprovera: “Non temi tu Dio?”, 
contemporaneamente lo fa riflettere, lo invita a convertirsi. Lo vuole 
convincere a riconoscere la signoria di Dio, la sua infinita grandezza. In 
questo momento estremo non ha senso esplodere in escandescenze o insolenze, ma 
l’unica cosa necessaria è raccomandarsi al Signore che è il padrone della vita e 
della morte.
Confida poi il motivo per temere Dio, aggiungendo: “Tu ti trovi nella medesima 
pena”, cioè sei condannato alla stessa sanzione, allo stesso tormento. Gli fa 
intendere di essere nella medesima situazione di grave bisogno, mentre quelli 
sotto la croce, che stanno a osservare, non sono crocifissi, non soffrono, per 
questo possono maledire Gesù nella tranquillità del loro benessere; lui invece è 
crocifisso con Cristo; maledicendolo, è come se insultasse se stesso. D’altra 
parte il comportamento rassegnato di Gesù innocente, che viene ucciso 
ingiustamente e non si ribella, deve far riflettere soprattutto a chi subisce la 
stessa pena per le proprie colpe realmente commesse. 
Aggiunge: “Noi, giustamente, perché riceviamo le cose degne di quello che 
abbiamo commesso”. Riconosce il suo sbaglio e invita l’altro a fare altrettanto. 
La crocifissione è una pena giustamente inflitta ad essi, quale ricompensa di 
una vita impostata sull’insubordinazione alla legge, segnata dal male, dalle 
opere cattive. In questo modo comprende e accetta la croce, come punizione dei 
propri misfatti. Simile idea vorrebbe inculcare nell’animo dell’amico.
In realtà l’unico che non merita la croce è Gesù, come dice immediatamente: 
“Egli invece non ha commesso nulla di fuori luogo”. Dall’alto della croce questo 
malfattore sostiene e manifesta l’innocenza di Gesù. Tutti deridono il Messia 
crocifisso, lo scherniscono, mentre egli diventa il testimone dell’innocenza del 
Cristo, il suo vero avvocato difensore. Dichiara apertamente l’ingiustizia di 
quella morte, non quella sua, ma quella di Gesù.
L’Amore creduto e proclamato
Nella seconda parte del suo discorso, il brigante rivolge alcune parole a Gesù. 
Sono parole veramente toccanti; esse manifestano un animo eletto.
Il testo riferisce in questo modo: “E diceva: ‘Gesù”. Nessun individuo nella 
narrazione evangelica si indirizza a Cristo chiamandolo semplicemente per nome. 
Lo fa ora, sulla croce, questo condannato. Ciò è segno di grande semplicità, di 
sincera fiducia. 
Quel nome, Gesù, senza l’aggiunta di titoli altisonanti o messianici, senza 
altre specificazioni, vibra di calore e di spontaneità. Gesù sta per morire, 
come anche il malfattore. Non è il luogo né il momento per far sfoggio di 
formalità e di cerimonie. D’altro canto gli attributi mettono le distanze e 
generalizzano i rapporti. Il ladrone coglie Gesù nella sua individualità, nella 
sua personalità concreta; lo vede lì, accanto a sé, crocifisso con lui; lo sente 
solidale, ne percepisce l’unione e in un certo senso l’amicizia, lo avverte 
compartecipe delle medesime sofferenze.
Poi continua il discorso: “Ricordati di me, quando verrai nel tuo regno”. La 
seconda parte dell’espressione, “quando verrai nel tuo regno”, contiene e rivela 
tutta la fede del ladrone, che mostra di essere un uomo illuminato. Forse per 
qualche notizia, ricevuta in precedenza, forse per una scoperta dell’ultimo 
momento, egli identifica in Gesù non soltanto un innocente, ma colui che viene a 
instaurare il suo regno. Di conseguenza non implora da lui la salvezza fisica, 
né gli chiede una miracolosa liberazione dal supplizio. Considera Gesù come un 
sovrano, mentre lo vede pendere con lui dal patibolo come un disgraziato. Chi ha 
mai dato una prova simile di fede? Gli stessi discepoli, ora dispersi e 
nascosti, quanto mai hanno saputo parlare al loro maestro con tanta convinzione? 
Costui, un malfattore, sfida non solo le autorità, ma l’evidenza stessa e la 
propria ragione.
Davanti agli occhi ha una creatura nello sfacelo dell’agonia e, invece di 
compatirla, si rivolge a lui da suddito a sovrano. Vede molto al di là delle 
apparenze e della situazione umana. Sa riconoscere la regalità di Gesù, che ora 
è inchiodato al legno; sa proclamarlo re, non per i miracoli o le imprese 
gloriose, ma nell’impotenza di un indifeso e nella miseria di un fallito. Sa che 
quel Gesù che muore con lui è innocente, sa che sta per morire con lui; ma sa 
soprattutto che “Gesù verrà nel regno suo”. Forse non riesce a capacitarsi come 
un moribondo sul patibolo della croce possa manifestare la gloria del suo regno, 
tuttavia non è importante conoscere i modi, le maniere e i tempi. Egli è 
convinto che quel crocifisso accanto a lui attuerà il suo regno, cioè la 
salvezza, la vita, l’amore. 
L’Amore pregato e accolto
A questo punto fa una richiesta. Non pretende di essere preservato dalla morte, 
accettata come punizione, ma invoca: “Ricordati di me”; chiede un pensiero anche 
per lui, un ricordo, quando Gesù entrerà nel suo regno. La supplica non è 
dettata dall’egoismo né da opportunismo o da calcoli personali, non ricerca 
neanche un benessere materiale. Con la propria preghiera non impone nulla a 
Gesù, non gli suggerisce alcun esito; gli chiede soltanto di non dimenticarsi di 
lui, con l’interiore fiducia che qualcosa potrà fare in suo favore. Non implora 
neanche il perdono, forse perché si ritiene indegno di tale grazia, ma desidera 
un semplice ricordo. 
Con questo modo di fare il ladrone evidenzia che la salvezza va umilmente 
chiesta, non pretesa; essa non costituisce un diritto o una rivendicazione 
umana, ma una totale accondiscendenza a Cristo, alla sua signoria; per questo si 
accontenta di essere ricordato all’ingresso nel suo regno. Una salvezza 
essenzialmente legata alla persona di Cristo, al suo amore, alla sua grazia. In 
mezzo a tanto odio e incredulità, si schiude luminosamente l’animo di questo 
sconosciuto, che non ha nome proprio, ma che porta impresso mirabilmente il nome 
di autentico “cristiano”. Tutti hanno abbandonato Gesù, alcuni tra i suoi 
seguaci, più vicini, lo hanno tradito e rinnegato. Non così è stato per il 
bandito, primo di una schiera di redenti dalla croce di Cristo. In quell’ora di 
tenebra, attraverso la sua persona, la croce irradia i primi frutti. Il 
salvatore non è morto invano, ha conquistato il cuore del suo compagno di 
supplizio, il primo a entrare nel regno con lui.
L’Amore donato e abbracciato
Il brano evangelico si conclude con la dichiarazione solenne del re crocifisso. 
Agli insulti che gli sono stati lanciati Gesù non risponde con nessuna parola. 
Al malfattore che con fede ha aderito a lui, asserisce con autorità regale: “In 
verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”. Non dice semplicemente che gli 
sono perdonati i peccati, ma qualcosa di più grande e fondamentale: “Oggi sarai 
con me in paradiso”. Gesù dona più di quanto il ladrone aveva chiesto; non solo 
non si dimenticherà di lui, ma lo rende sin d’ora suo compagno inseparabile nel 
suo regno.
Uno assieme all’altro per sempre. L’innocente Gesù con il colpevole malfattore 
attua un mirabile scambio di amore: il giusto si associa all’iniquo, affinché il 
delinquente giustificato si unisca al santo. Un connubio inscindibile che nasce 
dalla croce e sboccia in paradiso.
Luca aveva disseminato la vita di Gesù di incontri a mensa con i peccatori, un 
comportamento che aveva scandalizzato gli scribi e i farisei. Questa medesima 
comunione tra Cristo e il colpevole è presente anche sulla croce e continua nel 
regno ininterrottamente. È il segno e l’effetto benefico della redenzione.
Gesù e il ladrone non solo entrano insieme nell’oscurità della morte, ma insieme 
sono diretti verso la vita; lui il re e il sovrano, l’altro il peccatore e reo, 
ambedue congiunti nella medesima comunione vitale. Il salvatore pertanto entra 
in paradiso in compagnia di un malvivente, che sulla croce è giunto alla fede. 
Strana congiunzione di opposti, ma l’annuncio evangelico, che Luca fa risuonare, 
sta precisamente nella straordinaria novità portata da Cristo: il suo amore va 
in cerca del peccatore, si dona a lui fino a morire con lui, per vincere con 
l’amore il peccato che della morte è il dominatore. In questo modo rende l’uomo 
partecipe della comunione eterna con sé.
L’abisso e il paradosso dell’amore di Gesù
Veramente non è possibile constatare un abisso più profondo di amore e una sua 
altrettanto sorprendente esaltazione. L’abisso sta dalla parte di colui che, pur 
possedendo la potenza regale nelle altezze eterne, si è chinato e abbassato non 
solo a condividere l’umana e debole esistenza, ma anche fino a confondersi tra i 
malfattori e associarsi ad essi nella morte infame della crocifissione, subendo 
oltretutto le ingiurie di uno di loro. L’esaltazione è per il povero delinquente 
che, abbruttito dal peccato e affisso al legno del supplizio, ha creduto e si è 
affidato al re immolato con lui sulla croce, condividendone prima la terribile 
pena e poi l’ingresso nel regno. 
Come si può delucidare un così paradossale incrocio di linee contrarie, le 
quali, anziché respingersi e allontanarsi, si attraggono e si congiungono in uno 
stupefacente abbraccio? Chi può compiere una meraviglia del genere?
Si resta interdetti e attoniti. Ma una ragione ci deve essere; anzi, più che di 
ragione, si può parlare di grazia sovrumana, di amore infinito e inaudito, vale 
a dire della compassionevole potenza e carità divina. Solo lui, quell’amore non 
terreno, perché vivente nel cielo, ma generosamente umiliatosi per essere 
incarnato e offerto, solo lui ha potuto attuare un simile straordinario 
congiungimento. Non resta che accoglierlo, lasciandosi esplodere nello stupore e 
nel ringraziamento, per esserne totalmente avvolti e trasformati.
La sorte del ladrone pentito risplende come l’effige di ogni cristiano, che da 
misero peccatore si ritrova nella dignità di partecipare alla regalità di 
Cristo. Vi è solo una condizione: credere che l’innalzamento salvifico dell’uomo 
scaturisce dall’abbassamento misericordioso di Dio; alle sole capacità umane non 
è consentito operare un tale capovolgimento. In altre parole, bisogna saper 
riconoscere, come ha fatto il brigante credente, che quel Gesù di Nazaret, 
appeso alla croce nell’impotenza della morte, possiede la forza onnipotente 
della vita. Solo in lui e per mezzo di lui si è potuto realizzare il mirabile 
scambio tra la pochezza umana e la grandezza divina. Se non si aggrappa a 
quell’amore redentore, la creatura umana rimane prigioniera del proprio peccato 
e della morte. Il ladrone oltraggioso ne è una lampante espressione.
Certo, si tratta di un paradosso, che non può rientrare dentro le misure del 
comodo pensare umano, ma non per questo, anzi, proprio grazie a quel più in là 
della ragione, si fa sorgente inesauribile di sorpresa, di gioia e di 
consolazione, spingendo l’animo a guardare con fede il crocifisso, per gridare a 
lui: “Gesù, ricordati di me nel tuo regno”.
Don Renzo Lavatori
C O M M E N T I
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