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L’INCONTRO DI GESU’ CON I DISCEPOLI


Uno spaccato, che ci consente di entrare nell’animo di Gesù e scandagliarne alcune movenze interiori di grande valore per renderci conto della sua disponibilità e apertura di cuore verso gli altri, è dato dal modo come lui si dispone ad accogliere, scrutare e muovere la sensibilità di coloro che gli si avvicinano e desiderano in qualche modo conoscerlo e istaurare con lui una certa comunione di spirito. Tutto questo emerge in maniera viva e toccante dal racconto giovanneo dell’incontro di Gesù con i primi discepoli (Gv 1,35-51). Si vede bene come questi siano sospinti e illuminati, interiormente avvinti dalla sua persona che passa, guarda, invita, profetizza, scuote, rivela, trasforma. Veramente c’è da stupirsi e rimanere come incantati, quando ci si accorge di quale delicatezza e profondità si manifesti l’atteggiamento di Gesù nell’avvicinarsi agli uomini e nel disporsi a comunicare loro l’abbondanza del suo amore e della sua parola, nonché la forza con cui li attira e li sospinge alla sequela, senza tuttavia opprimerli o coartarli.
La sua magnanimità nell’accostarsi non si limita al primo approccio, quasi per un personale prestigio, ma si protrae, con estrema pazienza e avvedutezza, per tutto il percorso terreno, dove ha potuto approfondire la comunione con i discepoli, non senza momenti di chiarificazioni e di richiami autorevoli e decisi, fino agli ultimi istanti della sua esistenza, prima della morte. Ma anche dopo, da risorto, ha continuato la sua opera di avvicinamento e di illuminazione, sempre con tanta mansuetudine e diligenza, come si può vedere tra gli altri, nei confronti della Maddalena (20,11-18) e di Tommaso (Gv 20,24-29).

1. L’amabilità verso i primi seguaci
Fin dalle prime battute, dopo il prologo, l’evangelista Giovanni pone sotto gli occhi la persona di Gesù, appresso a quella del precursore.
Il Battista fissa lo sguardo su di lui con un senso di simpatia e di profonda fede, tanto che la sua testimonianza: “Ecco l’agnello di Dio!” (Gv 1,36) convince due dei suoi discepoli a seguire Cristo. Dalle sue parole, dai suoi gesti, da tutta la persona traspariva l’amore per lui; infatti la sua missione era di condurre gli uomini a Cristo e farli suoi seguaci. Egli non fa grandi discorsi intorno al Messia né invita esplicitamente a seguirlo, ma ne indica l’opera, la grazia e misericordia, presentandolo quale agnello mansueto che toglie il peccato del mondo. In tal modo la sua testimonianza appare più efficace, perché tocca il cuore e l’attesa dei discepoli, e non può essere fraintesa secondo altri interessi o preoccupazioni personali.
Di fatto i due giovani, sentendolo parlare così, seguono Gesù (Gv 1,37). Essi si mettono sui suoi passi, dietro di lui. Il senso immediato è quello fisico, ma in Giovanni l’atto di seguire è anche in relazione con la fede (cf. Gv 8,12 con 12,36; 10,4.27); qui indica il primo passo verso l’adesione a Cristo, al quale segue il fatto di “restare con lui”, non soltanto quel giorno (Gv 1,39), ma per sempre, in intima e totale comunione con lui (cf. Gv 12,26; 13,36s; 21,19,22). Essi sono stati afferrati in qualche modo dalla presenza di Gesù e vogliono sapere qualcosa di più preciso e di più concreto intorno alla sua persona e alla sua missione. Per questo si muovono dietro di lui.
A questo loro desiderio Gesù offre un incoraggiamento, rivolgendo ad essi per primo la parola, quasi a rompere il ghiaccio e facilitare il rapporto: “Che cosa cercate?” (Gv 1,38). Egli li vede venire verso di sé, non solo nel senso letterale, ma, come sempre in Giovanni, il “venire verso Cristo” indica la tensione interiore e la disponibilità del cuore ad accoglierlo. Gesù si accorge di questo e per mezzo della sua domanda vuole esplicitare la sincerità dei loro sentimenti.
Cristo viene incontro all’uomo, lasciandosi conoscere da lui, ammettendolo alla sua presenza con semplicità. Se è vero che l’uomo è alla ricerca della verità e della salvezza, è anche vero che Dio lo cerca e lo invita. Si tratta di due movimenti complementari: i discepoli vengono da se stessi, ma insieme Gesù li chiama e li accoglie; sono essi a muoversi verso di lui, ma anche lui muove i loro cuori con la sua grazia. Viene espresso così il mistero dell’incontro dell’uomo con Dio in una reciproca tensione di attrazione, che li conduce l’uno verso l’altro.
I discepoli, a loro volta, chiedono: “Maestro, dove abiti?”, volendo intrattenersi con lui a tu per tu, ascoltarlo nell’intimità della casa, in modo da instaurare un rapporto non solo esteriore, ma entrare in una vera comunione. Non si tratta solo di sapere qualche notizia intorno alla sua persona (avrebbero potuto chiedergliela per strada!), quanto invece di conoscerlo più a fondo, di condividere per qualche tempo la sua vita. Essi dimostrano un grande desiderio di incontrarsi seriamente con lui.
D’altra parte Gesù non lascia loro l’indirizzo della sua abitazione o del luogo in cui alloggiava, rimandando l’incontro ad altro tempo forse più opportuno, ma li attirò e li indusse ancora di più a seguirlo, dimostrando di averli introdotti tra i suoi. Per tale motivo non disse, per esempio: “Sarebbe intempestivo, per voi, venire ora a casa mia; domani ascolterete da me ciò che desiderate sapere: ora tornate alle vostre case”, ma rivolse loro la parola come ad amici e come se fossero stati suoi vecchi compagni.

2. l’incontro di salvezza
Fare la conoscenza di Gesù non significa tanto avere delle nozioni su di lui o svolgere dei discorsi, quanto vivere in comunione con lui, intrattenersi in sua presenza. Per questo l’evangelista non riporta una conversazione o un colloquio, ma afferma semplicemente che “andarono dunque e videro dove abitava” (Gv 1,39). La sostanza del racconto viene indicata esattamente in quel momento di incontro, l’ora decima, in cui i due discepoli si trovano insieme con Gesù e si fermano presso di lui; è l’ora della salvezza. Oramai sono inseriti nel mistero di amore di Gesù e sono stati conquistati dalla parola di verità. Non si dice neanche quale fosse stato il contenuto dei loro colloqui, né quali impressioni avessero avuto su Gesù, né sul suo modo di comportarsi. Attestano semplicemente la realtà di quell’approccio, che li ha attratti per sempre.
Dopo aver conosciuto il Signore ed essere stati da lui trasformati e ricolmati di gioia, i discepoli si fanno a loro volta annunciatori del Cristo e suoi intermediari per condurre a lui altre persone. È il caso di Andrea, il quale non tiene per sé il tesoro trovato, ma si premura di comunicarlo al fratello. Egli incontra Simone e non può trattenersi dall’annunciare l’evento straordinario che ha vissuto il giorno prima: “Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)” (Gv 1,41).
Andrea conduce Simone da Gesù (Gv 1,42), affinché attingesse direttamente alla fonte e fosse toccato, come lui, dal contatto con il Maestro. Ciò valeva più di qualsiasi altra testimonianza o descrizione fatta da intermediari.
Di questo contatto tra Simone e Cristo ciò che l’evangelista evidenzia è il comportamento di Gesù, ciò che dice, come penetra nel cuore di Simone e lo conquista. Gesù lo fissa, infatti, con uno sguardo di intesa e di simpatia (Gv 1,36) e subito lo chiama con un nome nuovo, carico di significato (“roccia”) e indicativo della missione futura. Simone rimane avvinto non tanto dalle dichiarazioni di Andrea, quanto ora dalla forza e dalla solennità delle parole di Gesù, che si presenta conoscitore degli animi e vero profeta di Dio. Ecco perché l’incontro con il Messia segna una svolta decisiva nella vita di Simone, il cui nome nuovo, Pietro, ne indica tutta la portata, inserendolo in una missione totalmente diversa e inattesa. Pietro deve divenire la roccia, il fondamento della comunità dei discepoli di Cristo.

 

DON RENZO LAVATORI

 

 

 

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