Benvenuto nel sito di Don Renzo Lavatori                                                                                                        

 

Argomenti

30 / 50

 

 

LA MISERICORDIA DI DIO NELL’ANTICO TESTAMENTO


Tutta la storia della salvezza non fa che mostrare l’amore misericordioso di Dio, che prevale sul peccato e sull’infedeltà dell’uomo.
Fin dalla prima caduta, Dio cerca di liberare l’uomo dalla condizione di morte e di peccato, mettendolo in grado di vivere il progetto originario che egli ha stabilito per lui. Dio non ha mai abbandonato le sue creature nonostante la loro iniquità e infedeltà; anzi, per primo si è chinato sull’uomo per rialzarlo. Tutta la Bibbia racconta come il Padre, essendo fedele al suo amore verso l’uomo, fa di tutto perché egli si converta.
A questo scopo, prenderemo in considerazione alcuni brani dell’A.T., premettendo però delle considerazioni sui vocaboli più usati dalla Sacra Scrittura per indicare la misericordia di Dio.

1. Vocaboli e concetti del termine misericordia
Gli autori dei libri sacri della Bibbia descrivono la natura dell’amore di Dio che, come ci insegna San Giovanni (1Gv 4,8), è l’identità e l’essenza stessa di Dio, attraverso una grande varietà di termini che hanno essi stessi molteplici significati. Innanzitutto, per parlare di compassione e di misericordia, l’A.T. adopera il termine rahamîn. Esso è la forma plurale di rehem e propriamente designa il grembo materno in cui il bambino viene formato e portato prima della nascita. Con questo termine possono essere indicate anche le viscere di un essere umano, che tanto nell’Antico quanto nel Nuovo Testamento (che utilizza il termine splànchna) sono considerate come la sede dei sentimenti. Unendo questi due significati possiamo dire che il termine rahamîn indica lo spazio fatto in sé alla vita dell’altro, il sentimento intimo e profondo che lega due esseri per ragioni di sangue e di cuore, come avviene nel rapporto di amore fra genitori e figli o in quello tra fratelli.
Questo amore tutto gratuito corrisponde a una necessità interiore, a una esigenza del cuore. Anche a Dio sono attribuite “viscere” capaci di commuoversi per il popolo (Ger 31,20) o di fremere per la collera (Os 11,8-9). L’attaccamento di Dio al suo popolo è significativamente espresso con l’affetto viscerale di una madre per il suo bambino (Is 49,15-16).
Il secondo termine più importante per comprendere la misericordia è hesed che significa “favore immeritato, amore incrollabile, amicizia, indulgenza e poi anche grazia”. Il significato fondamentale è quello di “bontà”, che per lo più si manifesta in forma di compassione, di pietà o di perdono, avendo sempre per fondamento la fedeltà ad un impegno, che si sente come tale o per vincoli di natura o in forza della propria posizione o anche per un dovere giuridico assunto liberamente. Si tratta di un termine relazionale, che non indica solo una singola azione, ma un atteggiamento costante capace di mantenere una comunione per sempre, qualsiasi cosa capiti.
Applicato a Dio, esso si spinge perciò al di là di qualsiasi reciproco rapporto di fedeltà, della semplice commozione e della tristezza per la miseria dell’uomo; si tratta di un dono inatteso e immeritato in quanto è un libero e gratuito interessamento di Dio per l’uomo.
A questi due vocaboli fondamentali vanno aggiunti tre verbi con i loro rispettivi derivati, usati accanto e parallelamente a rahamîn. Essi sono: hanan, cioè “mostrare grazia, essere clemente”; hamal, che vuol dire “compiangere, sentire compassione, risparmiare”; e infine hus, che significa “essere commosso, avere compassione, avere indulgenza”. Il termine più usato sia nei LXX e nel N.T. è eléo, traduzione di hesed, che significa “aver misericordia e agire con misericordia”, e allude a Dio che usa pietà nei confronti degli uomini. Altra parola del greco è oiktirmòs, “compianto, compassione”, che sottolinea l’aspetto esteriore del sentimento di compassione, indicando la partecipazione sentita alle sofferenze o ai problemi altrui, unita al desiderio di alleviarli e alla disponibilità ad aiutare. Il più delle volte rende il termine ebraico rahamîn, e anche i vocaboli che significano “grazie e favori”.

2. La misericordia di Dio: Il cuore dell’antica alleanza
Esiste ancora, purtroppo, l’immagine distorta secondo la quale il Dio dell’A.T. è un Dio adirato e il Dio del N.T. un Dio benevolo. In realtà, la cosa è del tutto diversa. L’A.T. è una grande scuola della misericordia di Dio. Dio è un Signore partecipe della vicenda del suo popolo. Egli ama Israele e soffre tutte le volte in cui si allontana da lui, mettendosi in azione per portargli soccorso. Egli vuole che Israele faccia esperienza di lui come di un Dio più grande delle sue debolezze, capace di muoversi continuamente a misericordia. L’essere misericordioso di Dio fa parte della sua stessa natura, nasce dall’esigenza del suo cuore e si manifesta nella sua libera, gratuita, unilaterale e stabile disposizione benevola nei confronti dell’uomo. Dio è misericordioso perché è fedele al suo amore e alla sua alleanza.
Nell’A.T. la rivelazione esplicita della misericordia è legata indissolubilmente alla rivelazione fondamentale di Dio nell’esodo dall’Egitto e poi al monte Sinai. Fra le pagine più significative si trova quella di Es 34,6-7 in cui Dio, mostrandosi a Mosè, rivela il mistero del suo amore:

«Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e quarta generazione».

Qui, con una serie intensa di termini, si vuole rafforzare e inculcare il concetto che qualifica l’agire di Dio: lento, paziente, ponderato, generoso, compassionevole, tollerante e fedele; in contrapposizione all’agire umano istintivo, passionale, impetuoso, infedele. E questo modo di agire di Dio si dilata nel tempo, al di là della stessa memoria e prospettiva umana, «per mille generazioni» il numero indica simbolicamente una quantità incalcolabile e indefinibile. Concetti simili si trovano anche in tante altre parti della scrittura:

«Varcate le sue porte con inni di grazie, i suoi atri con canti di lode, lodatelo, benedite il suo nome; poiché buono è il Signore, eterna la sua misericordia, la sua fedeltà per ogni generazione» (Sal 100,4-5).

«Buono e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. E non continua a contestare e conserva per sempre il suo sdegno. Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe. Come il cielo è alto sulla terra, così è grande la sua misericordia su quanti lo temono; come dista l’oriente dall’occidente, così allontana da noi le nostre colpe. Come un padre ha pietà dei suoi figli, cosi il Signore ha pietà di quanti lo temono» (Sal 103,8-13).

«Pietà di me, Signore, a te grido tutto il giorno. Rallegra la vita del tuo servo, perché a te, Signore, innalzo l’anima mia. Tu sei buono, Signore, e perdoni, sei pieno di misericordia con chi ti invoca….mio Dio mi assalgono gli arroganti, una schiera di violenti attenta alla mia vita, non pongono te davanti ai loro occhi; ma tu Signore, Dio di pietà, compassionevole, lento all’ira e pieno di amore, Dio fedele, volgiti a me e abbi misericordia; dona al tuo servo la tua forza, salva il figlio della tua ancella» (Sal 86,3-5.14-16).

«Celebrate il Signore perché è buono, perché eterna è la sua misericordia. Lo dicano i riscattati del Signore, che Egli liberò dalla mano del nemico e radunò da tutti i paesi, dall’oriente e dall’occidente, dal settentrione e dal mezzogiorno» (Sal 107,1-3).

«Celebrate il Signore, perché è buono, perché eterna è la sua misericordia. Dica Israele che egli è buono; eterna è la sua misericordia. Lo dica la casa di Aronne: eterna è la sua misericordia. Lo dica chi teme Dio: eterna è la sua misericordia…sei tu il mio Dio e ti rendo grazie, sei il mio Dio e ti esalto. Celebrate il Signore perché e buono: perché eterna e la sua misericordia» (Sal 118,1-4.28-29). «Lodate il Signore perché è buono, perché eterna è la sua misericordia. Lodate il Dio degli dèi: perché eterna è la sua misericordia. Lodate il Signore dei signori: perché eterna è la sua misericordia. Egli solo ha compiuto meraviglie: perché eterna è la sua misericordia. Ha creato i cieli con sapienza: perché eterna è la sua misericordia. Ha stabilito la terra sulle acque: perché eterna è la sua misericordia. Ha fatto i grandi luminari: perché eterna è la sua misericordia. Il sole per regolare il giorno: perché eterna è la sua misericordia; la luna e le stelle per regolare la notte: perché eterna è la sua misericordia…Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi: perché eterna è la sua misericordia; ci ha liberati dai nostri nemici: perché eterna è la sua misericordia. Egli dà il cibo ad ogni vivente: perché eterna è la sua misericordia. Lodate il Dio del cielo: perché eterna è la sua misericordia» (Sal 136,1-9.23-26).

«Esaltatelo davanti ad ogni vivente; è lui il Signore, il nostro Dio, lui il nostro Padre, il Dio per tutti i secoli. Vi castiga per le vostre ingiustizie, ma userà misericordia a tutti voi.» (Tb 13,4-5)

«Ora si mostri grande la potenza del mio Signore, perché tu hai detto: Il Signore è lento all’ira e grande in bontà, perdona la colpa e la ribellione, ma non lascia senza punizione; castiga la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione. Perdona l’iniquità di questo popolo secondo la grandezza della tua bontà, cosi come hai perdonato a questo popolo dall’Egitto fin qui.» (Nm 14,17-19).

«Giubilate, o cieli; rallègrati, o terra, gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo e ha pietà dei suoi miseri. Sion ha detto: il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato. Si dimentica forse una donna del suo bambino, cosi da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai.» (Is 49,13-15)

«Voglio ricordare i benefici del Signore, le glorie del Signore, quanto egli ha fatto per noi. Egli è grande in bontà per la casa di Israele. Egli ci tratta secondo il suo amore, secondo la grandezza della sua misericordia…Guarda dal cielo e osserva dalla tua dimora santa e gloriosa. Dove sono il tuo zelo e la tua potenza, il fremito della tua tenerezza e la tua misericordia? Non forzarti all’insensibilità, perché tu sei nostro Padre, poiché Abramo non ci riconosce e Israele non si ricorda di noi. Tu, Signore, tu sei nostro Padre, da sempre ti chiami nostro redentore.» (Is 63,7.15-16).

«Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo. Come potrei abbandonarti, Èfraim, come consegnarti ad altri, Israele?…il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Èfraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò nella mia ira» (Os 11,7-9).

Il brano di Is 49,13-15 costituisce la pagina più alta che dipinge con tinte tenerissime la misericordia di Dio come amore paterno e materno. L’amore paterno è fatto di stimolo e di sollecitudine, il padre vuol far crescere il suo bambino e portarlo alla piena maturità. Per questo un papà difficilmente loderà in maniera incondizionata il figlio in sua presenza: teme che si creda arrivato e che non progredisca più. Al contrario, egli corregge spesso il figlio: «E qual è il figlio che non viene corretto dal padre?» (Eb 12,7) e anche: «Il Signore corregge colui che egli ama» (Eb 12, 6). Ma non solo questo. Il padre è anche colui che dona sicurezza, che protegge, e Dio, si presenta all’uomo, lungo tutta la Bibbia, come la «sua roccia, il suo baluardo e la sua potente salvezza» (Sal 18,3).
L’amore divino ha sfumature simili all’amore materno, fatto di accoglienza e di tenerezza; è un amore “viscerale”; parte dalle profonde fibre dell’essere della madre, là dove la creatura si è formata e di lì afferra tutta la sua persona facendola «fremere di compassione». Qualunque cosa, anche terribile, abbia fatto un figlio, se si pente, la prima reazione della madre è sempre quella di aprirgli le braccia e di accoglierlo. Questi due tipi di amore, virile e materno, in Dio sono sempre uniti. Per questa ragione l’amore di Dio si esprime talvolta esplicitamente con l’immagine dell’amore materno: «come una madre consola un figlio, cosi io vi consolerò» (Is 66,13).
Dunque la misericordia di Dio si può concepire come la pienezza dell’amore, forte e delicato, rigoroso e misericordioso, giusto e benevolo. Di questo amore è destinatario il popolo e ogni singolo uomo, come si vede il concetto viene espresso con grande forza e radicalità, ben al di sopra della consueta “compassione” a cui siamo abituati.

3. La misericordia di Dio e il peccato del popolo
La verità sull’amore di Dio verso l’uomo è espressa profondamente da Osea sotto forma di confessione dell’amore di Dio verso l’infedele Israele suo figlio, come si è citato sopra (Os 11,8-9). Dio ama tanto grandemente il suo popolo che non lo punisce secondo i suoi peccati ma usa a lui misericordia. La sua ira non è come la nostra, non indica un sentimento violento di repulsione e un collerico intervento di distruzione, ma la resistenza che Dio oppone al male e all’ingiustizia. La sua ira è solo il rovescio del suo amore appassionato, è l’espressione della sua premura, che richiama il popolo all’unione con lui nella fedeltà all’alleanza. Non Dio ha bisogno del popolo, ma al contrario il popolo ha bisogno di lui, perché lui è la salvezza e la liberazione dai nemici e dalla schiavitù. Di fatto l’allontanamento del popolo da Dio forma la causa della sua infelicità e miseria: «due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua» (Ger 2,13).
L’amore di Dio per il suo popolo è di una fedeltà inimmaginabile, nella compassione e misericordia egli mostra la sua santità e giustizia. A motivo della sua santità Dio non può che opporsi al male e al peccato, per questo vengono messi a nudo e castigati tutti gli errori e i peccati commessi dal popolo. Essi vengono nominati e smascherati senza riduzioni, ogni errore e fallimento è chiamato per nome. A tutti, dal re alle persone più semplici, sono rimproverati i propri peccati, in modo veritiero e giusto, perché si mette in evidenza l’ingratitudine e la durezza di cuore del popolo infedele e peccatore; ma proprio in questo atto di giustizia si manifesta e si attua la misericordia di Dio, il quale non può mai coesistere con la malvagità e la menzogna, ma deve realizzare con il popolo una alleanza fondata sulla verità e sulla giustizia, affinché il popolo sia salvato e beneficato dall’amore misericordioso di Dio. Infatti la misericordia può guarire e risanare solo se formula la diagnosi del male in modo del tutto onesto, verace e giusto. L’A.T. mostra l’immensa misericordia di Dio precisamente verso i peccati del suo popolo, ma i peccati non vengono né minimizzati né banalizzati, ma sono evidenziati per essere distrutti e allontanati dal popolo.
La misericordia perciò può realizzarsi solo là dove i peccati si identifiano e si riconoscono per la loro cattiveria. Viceversa è possibile fissare lo sguardo sulla propria miseria, vedere i propri peccati e riconoscerli solo nell’incontro con la misericordia di Dio, nell’accoglienza della sua bontà che libera dal male e dona la santità. Rivelare la propria colpa davanti a un giudice impietoso sarebbe in un certo senso un suicido. Solo di fronte all’amore giusto di Dio che odia il peccato ma ama il peccatore, è possibile riconoscere e confessare il proprio peccato per ritrovare l’amore benevolo di Dio. Come un bambino che ha combinato un pasticcio, il peccatore può correre verso Dio e gettarsi nelle sue braccia misericordiose. Solo la fiducia in Dio, giusto e buono, fa sì che ci si possa pentire veramente dei propri peccati e ritrovare l’abbraccio amorevole con Dio.
Si rimprovera spesse volte la Bibbia e il Cristianesimo di parlare continuamente del peccato. È vero che la nostra liturgia parla molto del peccato e invita a riconoscerlo per esserne liberati. Ma ciò dipende unicamente dal fatto che noi confidiamo nella bontà misericordiosa di Dio. Siccome crediamo e abbiamo fiducia in un Dio infinitamente misericordioso, non abbiamo bisogno di nascondere i peccati, di negare i nostri errori, di dichiararci innocenti. In questo modo faremmo un’opera menzognera di ingiustizia e di orgoglio. Mentre Dio giusto e buono si china sui nostri peccati e le nostre cattiverie per trasformarli in eventi di grazia e di risanazione. I santi testimoniano questa dialettica stupenda che congiunge due poli per sé lontani ma paradossalmente ravvicinati: da una parte la miseria umana e dall’altra la divina misericordia. I santi considerano, alla luce della bontà di Dio e della sua giustizia, quanto siano peccatori e quanto profonda sia la propria miseria. Per questa ragione sentono l’attrazione verso Dio e riconoscono l’infinita misericordia di Dio.
L’A.T. costituisce davvero la grande meravigliosa storia di amore di Dio verso il suo popolo. Esso è un continuo ammaestramento per farci capire come la misericordia di Dio, sommo bene e somma santità, si attua quando può distruggere il peccato ed effondere la sua grazia sul peccatore. Tale mistero della divina misericordia ha il suo compimento e la sua piena attuazione in Gesù Cristo. Gesù è “in persona” la rivelazione e la realizzazione della misericordia di Dio.

 

Don Renzo Lavatori


 

 

 

30 / 50